Lebe Liebe Lache
Capitolo Uno: il Primo Passo
Una Racconto pone in atto la ghianda di Hillman, crescendo dalla
terra delle fonti storiche bibliografiche, prendendo forza dalla
propria linfa, flettendosi e resistendo alle altre correnti di
pensiero, creando rami principali e tematiche secondarie,
seguendo mano mano il sole della scoperta e affondando al
contempo le proprie radici, vedendo crescere i pensieri nelle
foglie, lasciando andare quelle che devono e vedendo spuntare
spine e fiori, cogliendone i frutti, che diverranno semi per altri
alberi.
Un Racconto è l’albero che era destinato ad essere.
Capitolo Sette: Armònia
Riflessioni sulla musica e sull’espressione dialettale “Vieni Oltre”.
Dopo 20 anni dietro le pelli della batteria, tra tamburi, piatti, rullanti e chitarre ad alto volume
il suono arriva attutito, un pò distorto … e ci vuole un altro tipo di sentire, di udito, più
silenzioso per assurdo.
Farsi silente per sentire … che è quel che cerchiamo nella musica, ed è lo stesso criterio con
cui viene ripartito uno spartito musicale, lo stesso principio dell’Armònia Platonica.
Penso ai Pink Floyd ed ai testi onirici che hanno creato … esempio di arte in musica:
se il testo diventa importante per definire il concetto
primo, diventa irrilevante o per lo meno non essenziale
dal punto di vista della comunicazione se non si
mantiene armonia e melodia attraverso il movimento
stesso della voce, con toni, pause, timbri.
Le parole quindi perdono il loro significato diretto ma
si elevano a segni di soglia insieme alle pause, ai levare.
Pensiamo ai bagni sonori, dove le vibrazioni e le note parlano attraverso una risonanza con il
nostro corpo.
Un diapason di sensazioni che portano durante l’esperienza a sentire, vedere immagini,
piangere, percepire profumi, calore o brividi, emozionarsi ed in molti casi a vedere le stesse
immagini. Un’esperienza così simile alla coscienza collettiva di junghiana memoria.
Se siamo predisposti a sentire la nostra melodia, allora oltre che percepita va anche accolta
insieme alle note stonate e coltivata. Tutto si basa sulla personale scelta di voler sentire anche
quelle note, che sullo spartito si chiamano ghost note, che all’inizio sembrano non aver valore
ma che sottendono a molto di più perché sottendono e si prendono Cura dell’Armonia.
Il nostro corpo, se in salute, si muove in armonia attraverso il battito che porta umori, energie
e sangue in un continuo scambio di vita e morte, di contrazione e rilassamento, di respiro ed
espiro, di foliage dei nostri epiteli così simile al ciclo di un albero che cambia le foglie ma
continua a crescere. (nota per i più curiosi … sbirciate la splendida opera “La Nazione delle
Piante” di Stefano Mancuso).
Detto così sembra quasi banale vedere quanto il ritmo determini la ciclicità, la musica e la
semplicità di un microcosmo e di quanto possa essere applicato a tutto quello che ci circonda,
di quanto l’uomo a contatto con l’ambiente abbia avuto la necessità di ricreare sin da subito
elementi musicali.
Nel bellissimo saggio “Storia della Musica” edito dalla Einaudi (artisti vari – 1999)
scopriamo come la musica si sia evoluta, come tutte le forme d’arte, attraverso forme di
linguaggio differenti per esprimere il contesto sociale, le pulsioni del momento, la filosofia
del contesto storico.
Torniamo come sempre a “in principio era il verbo”, il suono quindi e di come l’uomo abbia
avuto necessità di vederlo per renderlo reale.
Pitagora utilizzò un budello tirato tra due legni per definire la prima nota musicale e battendo
nel centro definì il tono, trasformando un suono in quello che sarebbe diventata in seguito la
base della scala musicale ed del pentagramma.
Definì quindi un codice a partire dal sentito, dal movimento, dal ritmo dell’anima.
Il pentagramma da allora è diventato lo strumento entro il quale la musica trova confini e
stabilendoli, crea la necessità di oltrepassarli: in un campo senza recinzioni non troviamo
necessità di intraprendere il viaggio, ma se poniamo un cancello, chiuso o aperto che sia, la
tendenza sarà di andare a contatto, di sentire cosa evoca in noi di scoprire cosa c’è dopo.
Ecco la tendenza al numero sette, alla completezza, alla ricerca del nostro bello, al Viaggio
di Ulisse.
Ritorna prepotente il ciclo dell’eroe, il viaggio per scoprire che è tutto qui.
In Romagna c’è un espressione dialettale che racchiude in maniera splendida questo concetto:
”Vieni Oltre”, un estratto purissimo di viaggio interiore.
Andare oltre diventa la regola che governa la regola: la trascendenza della visione.
Le azioni sono mosse quindi dai valori che sono nelle stesse idee, un valore che viene
riconosciuto dal pubblico ma che ha moto interno.
Mi sono avvicinato alla musica, come tutti dal ventre materno, sentendo il battito di due cuori
e ne sono rimasto compreso in tutta la mia vita:
Dalle filastrocche e fiabe ascoltate, con i graffi e salti sul mangiadischi per i 45 giri, alla
“Cavalcata delle Valchirie” di Wagner a 6 anni cavalcando come un forsennato il bracciolo
del divano, alla poesia malinconica e traslucida di Lucio Dalla, ai Goblin di Profondo Rosso,
alla mia prima chitarra, alla batteria, ai concerti fino ad arrivare ai tamburi sciamanici,
handpan e djembe ben 44 anni dopo, sempre con la voglia di scoprire ed un pò inseguire
quella magia, molte volte mascherata da stregoneria così ben esemplificata dal Film Soul
della Pixar.
Da musicista, penso allora alle ore di studio, ai rituali nascosti e alle iniziazioni che non si
vedono sul palco, alla fase liminare in cui si consumano birre o ci si ritira nel proprio
silenzio, a quel millisecondo prima dell ”engagement” in cui il tempo si ferma, prima del
tocco della bacchetta sul rullante.
Penso alla fase di lavoro, al contatto pieno con l’avvenimento, alle dinamiche e armoniche
che si muovono, alle energie coinvolte, alle difficoltà nel percorso, per arrivare all’ultimo
pezzo e a quell’ultima nota dove senti tutta la stanchezza, l’euforia, il lavoro fatto per essere
lì … e poi … in quel momento perfetto dove c’è silenzio, in attesa degli applausi (si spera)
diventa semplice capire quanto uno schema ancestrale così antico, fatto di legni, pelli battute,
balli rituali, di frenesia e di rimandi alchemici, riesca a possedere il musicista e a contaminare
il pubblico… in un’e(u)pidemia di bellezza, in quell’assurdo momento … riascolti il cuore e
lentamente torni a respirare.
E’ allora ancora più semplice capire quanto questo movimento possa creare falsi miti e
condizionare anche involontariamente.
Ogni volta che penso al termine passione, resto colpito dal suo significato primo “profonda e
tormentosa afflizione” e penso quindi al viaggio per andare e venire “oltre” fatto da Frank
Zappa e alla sua Black Page, a DeBussy o Franco Battiato e Kurt Cobain per citarne alcuni,
di quanto quel viaggio fosse necessario per trovare la loro bellezza e di quanto sia costato in
termini di vite.
Penso allora alla figura leggendaria di Robert Leroy Johnson, chitarrista blues degli anni ‘30.
La storia narra di un suo incontro lungo un crocevia con il diavolo dopo la morte della
moglie.
Strinse un patto per arrivare a possedere il talento di essere il più bravo chitarrista di tutti i
tempi.
Il patto lo portò ad essere il più grande bluesman del Delta blues e ispiratore dei più grandi
compositori odierni ma le scelte fatte, tra abusi, alcool e tradimenti lo portò a morire per
avvelenamento a soli 27 anni entrando di diritto nel club dei 27.
Se prendiamo ad esempio qualsiasi racconto di “Rock Bazar” di Massimo Cotto vediamo
quanto il talento possa comprimere e ossessionare l’uomo, quanto si possa rimanere fagocitati
da una forza tanto dirompente.
Passare attraverso l’archetipo dell’amante e sentire i “tormenti” dell’Anima ricorda molto il
salto oltre al fuoco di molti cerchi sciamanici, punto necessario e fondamentale del rito per
rendere sacro il sacrificio, per emergere più saggio. In questo parallelo antico è facile vedere
quanto però il fuoco possa essere ammaliante e imbrigliare in quell’archetipo, consumando
letteralmente uomini e anime.
Studiando le note e le figure ritmiche ho notato come l’importanza dello studio sia
fondamentalmente legata agli spazi, ai vuoti tra una nota e l’altra.
Il compianto attore Robin Williams in un’intervista ci ricorda di leggere il trattino tra la sua
data di nascita e di morte, perché lì in mezzo si nasconde la vita.
L’arte della scrittura di uno spartito sta nell’equilibrio tra spazio e tempo, non semplicemente
come atto riempitivo ma come studio del silenzio.
Una fase di ascolto estremamente delicato per trovare il suono giusto che regoli lo stato di
tensione e rilascio.
Ancora una volta quindi respiro e bioritmo che generano stati d’animo tradotti in note e vuoti,
il verbo che si manifesta.
Pensiamo all’arte dell’improvvisazione su di uno strumento:
Improvvisare a primo avviso può sembrare semplice, suonare delle note casuali se in armonia
tra di loro risulta piacevole ma questa è tutt’altro che improvvisazione.
Ho avuto la fortuna di seguire una Drum Clinic con Christian Meyer, batterista tra gli altri, di
Elio e le Storie Tese; durante la giornata di approfondimento, non capivo come potesse
entusiasmarsi per una semplice figura ritmica sulla quale si stava allenando da sei mesi.
Ci spiegò quindi che le scale, le armoniche, le pentatoniche o ritmiche sono frutto di
centinaia di ore di lavoro eseguite ad una velocità talmente bassa da obbligare le mani a
muoversi più lentamente rispetto alla lettura dello spartito.
Questo sistema permette di non cadere negli stessi errori che la memoria muscolare porta con
sé in un arrangiamento già conosciuto, un’esecuzione frettolosa e imprecisa, una fissità
cognitiva nella stessa direzione.
Diventa curioso quindi che proprio chi teoricamente è già in grado di eseguire pezzi
estremamente complicati per paradosso scelga di rallentarli al minimo per comprenderli.
Rallentare allora fino a che la vista, il battito e le mani possano collaborare, da lì la velocità di
esecuzione diventa un atto volontario ed estremamente semplice perché direzionato
sapientemente.
Rallentare fino a sentire il vuoto, la mancanza come elemento vivo, presente e mantenerne il
contatto senza volerlo colmare, arricchendolo se e dove possa servire ma senza usare, quelli
che in gergo, vengono definiti riempitivi.
Scegliere di provare nuove combinazioni a ritmi lentissimi permette di sentire ogni nota, ogni
singolo passaggio, di dar valore al salto tra una nota e l’altra.
Arrivare al punto di eseguire un pezzo leggendo due o tre battute dopo, sapendo già che nota
inserire.
Ecco che allora l’improvvisazione è frutto di lavoro, di un viaggio nei silenzi, nella capacità
di lasciarsi trasportare dalle onde dell’armonia ma tenendo ben saldo il timone, capaci
condottieri.
L’improvvisazione permette di trasformare una nota stonata in un’armonia semplicemente
aggiungendo spazio o inserendo una nota di un semitono più alto o più basso.
Le più grandi canzoni di tutti i tempi basano la loro forza su questo senso aritmico,
normalmente in terza battuta, per sottolineare la tensione e ne danno agio con la quarta.
Ecco come anche la filosofia incontra ancora la musica, la bellezza, la ritualità del racconto
attraverso il pentagramma.